domenica 13 luglio 2014

Ni avec toi, ni sans toi

Quando ho visto il film di F. Truffault "La Signora della porta accanto" (La femme d'à cotéstavo vivendo una storia d'amore passionale e distruttiva, iniziata diversi anni prima. Era ovvio che mi immedesimassi immediatamente con Mathilde, la protagonista femminile interpretata da una meravigliosa Fanny Ardant. E' un film sull'amour fou, sull'amore vero che non muore mai, sull'impossibilità di vivere con te ma anche senza di te. Era proprio così che io mi sentivo. Sull'aggettivo "fou" del nostro amore non c'erano dubbi, non aveva niente di "normale", era un sentimento immenso che solo noi potevamo capire, così come solo noi potevamo capirne i meccanismi, gli equilibri, le dinamiche. Era tutto un lasciarsi e un riprendersi continuo, un litigare e fare l'amore perpetuo, un ferirsi e immolarsi nel nome dell'altro senza fine. Mi sentivo la unica detentrice del sentimento d'amore, quello vero, quello puro, quello irrinunciabile ma anche malato, pazzo, assurdo. C'erano dentro tutti gli ideali di quegli anni, tutti i manifesti del nostro credo, le idee politiche, la volontà di cambiare il mondo, la totale assenza di paura verso il futuro.
"Solo chi ama veramente può sopportare e superare tanto" mi ripetevo. "Non è certo da tutti". Mi sentivo così legata a quest'uomo in maniera indissolubile che sapevo sarebbe stato così per sempre; anche se le nostre vite ci avessero separato, i nostri sentimenti sarebbero rimasti gli stessi, resistendo al tempo e a tutto il resto. Guardare un film che raccontava tutto questo (e che a farlo fosse il mio regista preferito) era l'ennesima conferma che ero nel giusto. Ni avec toi, ni sans toi e in definitiva così è stato. Del resto gli amori giovanili, quelli importanti, non hanno rivali. E di film così non ne ho più visti.
http://youtu.be/8QaUIAI-b7A

Francois Truffaut nasce a Parigi il 6 febbraio 1932, figlio unico dell’architetto Roland Truffaut e di Janine de Monferrand, segretaria a “L’illustration”.Gran parte della propria infanzia Francois la trascorre insieme alle nonne. Quella materna, assidua frequentatrice delle libreria del quartiere, e qualle paterna, che abita nella estrema periferia con il marito, tagliatore di lastre di marmo, cosicché Il ragazzo fin da piccolo familiarizza con libri e cimiteri.
A scuola è svogliato e insofferente, spesso salta le lezioni, magari per infilarsi in una biblioteca o in un cinema, dove assapora l’emozione clandestina di partecipare a un rito adulto. I cinema li frequenta per lo più di nascosto: la mattina, quando in casa lo mandano a prendere il giornale, consulta febbrilmente per strada l’elenco dei film in programmazione e legge le critiche. Ha fretta di crescere: il mondo degli adulti – lo ripeterà spesso – gli appare come un mondo di impunità, dove tutto è lecito. E nella Francia dell’occupazione e del mercato nero si cresce in fretta: furtarelli, piccole truffe, ogni tanto una fuga da casa…
A quattordici anni gli permettono di lasciare la scuola e di impiegarsi come magazziniere in una ditta di granaglie. Dopo pochi mesi però il giovane Truffaut si licenzia, senza dirlo ai genitori, e investe la liquidazione nell’apertura del “Cercle Cinemane”, un cineclub che funziona la domenica
mattina in concorrenza di quello di Bazin. 
E proprio attraverso André Bazin, truffaut contribuirà ai Cahiers du
Cinéma attaccando violentemente con i suoi articoli le forme
convenzionali del cinema francese. Alla maggiore età, egli non è
troppo scontento della piega che ha preso la propria vita: impiegato
presso la rivista “Elle”, abita da solo in una minuscola stanza in affitto
e dispone di tanto tempo libero per andare alla Cinemathèque. 
E’ appunto nella sala di rue Messina, tra un classico e l’altro, che egli
si innamora di una ragazza più grande di lui; trasloca, si installa in un appartamento di fronte a quello di lei, ne frequenta i genitori, e lei finisce per considerarlo un seccatore: insomma, la trama di “L’amore a vent'anni”.
Per dimenticare la delusione amorosa, parte volontario per il servizio militare. Torna a Parigi in licenza nel 1951 per poi non ripresentarsi, scaduta la licenza, in caserma; sbattuto nella prigione Dupleix, a Parigi, evade e viene considerato disertore. Rispedito in Germania, lo rinchiudono per due volte nel manicomio di Andernach, da dove uscirà grazie all’intervento di Bazin. Dal 1956 lavora e viaggia con Roberto Rossellini per tre anni in cui si dedica a progetti mai realizzati.
Si disintossica della sua passione per il cinema americano, assimila
il gusto della logica e della semplicità, scopre l’approccio
documentaristico a qualsiasi soggetto.
Nel 1958 realizza un breve film di fantasia “L’età difficile”, sulle
reazioni infantili di un gruppo di ragazzi a contatto con Bernadette, una ragazza un po’ più vecchia di loro. Questo film, dall’acuto senso di osservazione, fu seguito dal più celebre “I quattrocento
colpi”(1959 che, con sicuri riferimenti autobiografici, racconta la storia di un ragazzo di 13 anni, per metà bambino e per metà adulto, finito in riformatorio a causa delle incomprensioni degli adulti.
Dopo aver contribuito con un episodio al film “L’amore a vent’anni” (1962), del quale fu anche coproduttore, Truffaut realizzò un film alquanto tradizionale “La calda amante”(1964), studio di una relazione amorosa insoddisfacente fra uno scrittore di mezza età e una hostess.Il film inglese “Fahrenheit 451”, tratto da un romanzo di fantascienza di Ray Bradbury, fu seguito da “La sposa in nero” (1967) che lega Truffaut ad Hitchcock e che ebbe come interprete Jeanne Moreau.
“Baci rubati” (1968) e “Domicil conjugal” (1970) si rifanno ancora al
protagonista de “I quattrocento colpi”, Antoine Doinel,; mentre “Il ragazzo selvaggio” (1970) offrì a Truffaut un campo di azione interamente
nuovo. E’ la storia di un medico che tenta di riportare nel mondo civile un
ragazzo cresciuto selvaggio nella foresta. Truffaut interpretò la parte del
medico. Della sua vita privata si conosce ben poco. Il cinema per lui è tutto e non sente il bisogno di altri hobbies. 
I libri compaiono spesso nelle sue storie, o come citazioni o al centro delle
vicende: oltre che in Fahrenheit 451, dove si lotta per distruggerli o per
salvarli, in “Le due inglesi”(1971) il protagonista rinuncia all’amore per scrivere; nel divertente “Mica scema la ragazza” (1972) un sociologo incontra la donna che lo trascina alla prigione a vita durante un’intervista per il libro che sta scrivendo; Adèle Hugo, protagonista di “L’histoire di Adèle H.” tiene un diario su cui scrive con sempre maggiore frequenza via via che la sua pazzia progredisce.
Il cinema invece è al centro di “Effetto notte” il film che vince un Oscar e che rende popolare Truffaut presso un pubblico più vasto.
Storie d’amore passionali sono quelle che il regista descrive in “La camera verde“ (1978); in “La signora della porta accanto” è la passione totale che non permette né di vivere insieme né separati: interpretato da Fanny Ardant e Gerard Depardieu è un altro grande successo di pubblico, come lo era stato “L’ultimo metro” (1980) con C. Deneuve e G. Depardieu, in cui Truffaut mostra ancora una volta come la vita si confonda con lo spettacolo, in questo caso il teatro. Ha due figlie, Laura ed Eva.
Forse il suo solo hobby è la curiosità per l’altro sesso. E’ convinto che
gli atti fondamentali della vita appartengono alle donne, mentre gli
uomini, con il loro attivismo, gli ispirano solo ironia e compassione.
Ogni tanto le cronache mondane gli attribuiscono qualche flirt con una
sua attrice. Dall’ultima, Fanny Ardant, ha avuto una figlia, Josephine, nel 1983. Nel suo ultimo film, “Finalmente domenica” (1982), ritorna ad un argomento poliziesco e al bianco e nero: un’operazione di raffinato recupero del cinema nero degli anni ’50 per un film brillante in
cui l’azione si mescola continuamente all'ironia e la morte all'amore. Un esempio perfetto di quanto aveva dichiarato una volta: ”Mi piacciono le storie normali, ma c’è anche un elemento di melodramma nei miei film. Solo che al contrario di voi che dite ‘E’ comodo’, si può dire: ‘E’
coraggioso’, perché c’è in giro una paura spaventosa del melodramma. Oggi, più nessuno osa dire di amare Dickens, ‘I miserabili’”. 
Francois Truffaut è morto all’età di 52 anni il 21 ottobre 1984.
“Ho mangiato quasi tutti i giorni, ho dormito quasi tutte le notti, secondo me ho lavorato troppo, non ho avuto abbastanza soddisfazioni né gioie. La guerra mi ha lasciato indifferente e lo stesso vale per i cretini che la facevano. Amo le Arti e in particolare il cinema, ritengo che il lavoro sia
una necessità come l’evacuazione degli escrementi e che chiunque ami il suo lavoro non sappia vivere. Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica basteranno a fare la mia felicità fino alla morte, che un giorno dovrà pure arrivare e che egoisticamente io temo. I miei
genitori sono per me soltanto degli esseri umani, è solo il caso che fa di loro mio padre e mia madre, è per questo che per me non sono che degli estranei.
Ecco tutta la mia avventura. Non è né allegra né triste, è la vita. Non fisso a lungo il cielo perché quando i miei occhi ritornano al suolo il mondo mi sembra orribile”. (Nuova Accademia Piceno Aprutina)

venerdì 11 luglio 2014

Ciabatte d(')a mare

Ho sempre pensato che l’estate fosse la stagione peggiore per innamorarsi. Capisco bene che a voi possa sembrare il contrario: carni nude, stoffe svolazzanti, pelli abbronzate, oli profumai spalmati in ogni dove, il fruscio della notte, corpi sudati sotto il sole, lo sciabordio delle onde. Mi sto già eccitando! Ma avete dimenticato un piccolo particolare, un particolare dal quale si possono capire infinite cose sulle persone: i PIEDI. Non sto parlando di igiene o di cattivi odori, sto parlando di SENSO ESTETICO. Il senso estetico di una persona è la sua quintessenza, che, come dice la Treccani è la “Caratteristica essenziale, natura intima e ultima”di qualcuno.
Da ragazzina mi innamoravo poco ed ero tendenzialmente monogama. Nonostante la mia giovane età il sentimento che provavo andava avanti per molti mesi. Erano sentimenti ingenui, fatti di sospiri, di sguardi, di inseguimenti, di risolini, di batticuore al solo vederlo passare, di contatti cercati, di frasi programmate a tavolino con l’amica del cuore. Ma poi, inevitabilmente, arrivava l’estate e il ragazzino in questione faceva quello che aveva sempre fatto, ma con ai piedi delle ciabatte orribili, di plastica dura, oppure delle ridicole scarpe di stoffa dai colori improbabili, con dei calzini corti altrettanto ridicoli. Non era assolutamente possibile passare sopra al pessimo gusto. Magicamente e immediatamente ogni traccia di sentimento di ogni tipo spariva, per lasciare posto ad un leggero disgusto che mi faceva ogni volta dubitare di me stessa.
Un paio di volte devo esserne rimasta davvero scioccata se, anche da adulta, ho continuato ad aver paura dell’estate quando ero innamorata. Orribili scarpe invernali potevano avere il loro perché ma i sandali e le ciabatte degli anni ’70 - ’80 erano davvero scandalosi. Potevo passare sopra a piccoli buchi nel maglione, ai jeans con la riga, all’orlo dei pantaloni alto 15 centimetri, alla schiuma della birra impigliata nei baffi, ai calzini corti e bianchi (che orrore!!!), persino all’unghia lunga del mignolo (sto per vomitare) ma le ciabatte azzurre o marroni incrociate sul davanti e piene di buchini sono impossibili da tollerare. Vorrei guardare negli occhi chi le ha disegnate e sputargli in faccia. “Lei si rende conto del trauma che hanno subito tante ragazze osservando i loro innamorati indossare quell’obbrobrio???? Dove aveva la testa quando ha preso la matita in mano?”
Abitando al mare, l’alternativa unica era il Pescura piatto Dr. Sholl. Ve lo ricordate? C’era anche la versione da donna, con un piccolo tacco. Ho provato a calzarli di recente e sinceramente non si capisce come potevamo andare in giro con una zavorra così pesante ai piedi, per non parlare dei colpi tremendi che mi davo sulle caviglie con quel tacco di legno massello!!!!!! Però il pescura da uomo era sicuramente più “di classe” della ciabattina sfigata. Se poi uno si presentava con le mitiche espadrilles, con la parte posteriore schiacciata dal tallone, voleva dire che, oltre alla mancata caduta di stile, condividevamo le stesse idee.
Ed era amore vero ed eterno. Almeno fino all’estate successiva!

mercoledì 9 luglio 2014

Il dono

Sono piena di astio, piena di rabbia. Non so se più verso me stessa o verso gli altri. Sono piena di astio, piena di rabbia per come è  andata la mia vita ma soprattutto per come sono andati i miei rapporti con gli altri, le mie relazioni tutte. E’ ovvio che mi metto in discussione, analizzo, esploro angolazioni differenti non ancora prese in considerazione: non trovo niente, niente di così grave nei miei atteggiamenti, nelle mie scelte, che giustifichi siffatti percorsi relazionali. Mi direte “E’ chiaro, ognuno di noi crede di avere ragione”. Non è che io lo creda, LO SO! La mia presunzione non la mostro agli altri, è affare solo mio. Con gli altri sono amabile, rispettosa  sempre, compassionevole, comprensiva, disponibile. Un altruismo che cela l’immensa sicurezza che IO sono al di sopra di tutti, che l’unico pensiero che conta per me è il mio. Questo non vuol dire che sono barricata dietro le mie convinzioni, anzi, sono aperta ad ogni nuovo insegnamento, attenta a tutti gli stimoli differenti e lontani dalle mie modalità. Apprendo di continuo, da tutti. Sono convinta inoltre che niente accada per caso, che ogni incontro abbia un preciso scopo, come se tutto faccia parte del nostro  disegno. Non sto parlando della provvidenza, non potrei, non ci credo. Sto parlando della potenziale capacità di ognuno di noi di arricchire la propria vita attraverso il dono dell’incontro. E qui iniziano i problemi. Proprio perché l’incontro è visto da me come dono, attendo sempre con immenso rispetto che si manifesti la qualità del dono stesso, diciamo così il suo obiettivo. Può darsi che io debba imparare a fare un passo avanti verso il mio equilibrio, verso la mia buddità, attraverso questo incontro. Può darsi che quella persona sia semplicemente un gancio dal quale tendere la fionda del mio prossimo obiettivo. L’importante è stare in ascolto, aspettare fiduciosi di imparare la lezione. Il problema nasce proprio dal fatto che, se i livelli energetici delle persone coinvolte sono molto distanti ci si può fare anche molto male. Se io e l’altra persona stiamo su piani d’ascolto molto distanti, l’altra persona non è in grado di capire pienamente il concetto del dono e così ad un certo punto comincia a scalpitare, a girare in tondo, a creare onde gigantesche che compromettono l’equilibrio necessario allo scambio. Non so per quale motivo, forse si sente inadeguata, prova invidia, gelosia, sente che non sta dominando lei la situazione, perché è chiaro che ogni tipo di rapporto è mosso dal gioco di potere. Questo potenziale energetico completamente sbilanciato disturba fortemente l’Universo che farà in modo, nel più breve tempo possibile, di ristabilire l’equilibrio. Per farlo non bada ai mezzi, al dolore che può creare: lo scompiglio deve essere a tutti i costi risistemato, l’equilibrio ristabilito. Per me è impossibile rimanere muta ed immobile in questa fase (segno evidente che sono molto lontana dal mio equilibrio interiore), vengo presa all'amo e creo danni irrimediabili, definitivi. La persona coinvolta, essendo su un piano diverso dal mio, non può fare niente per rimediare e io sento che non ne vale la pena, che ormai il dono ha raggiunto il suo obiettivo. Lo trovo crudele. Sento che mi perdo brandelli di felicità o situazioni piacevoli che potevano avvenire da qual momento in poi. Ma non mi muovo e guardo la pellicola scorrere. Aspetto che il prossimo dono mi insegni a fare un passo avanti.

martedì 8 luglio 2014

La madre

Avete mai pensato che esistono tanti tipi di madre? La madre affettuosa, quella invadente,  quella discreta, la scontenta, la vittima, quella che alimenta il senso di colpa, l’ecologista, l’anaffettiva, la violenta e chi più ne ha ne metta. Questa vasta tipologia non dipende del tutto dal carattere o convinzioni sul modello educativo propri della donna ma soprattutto da quello di cui il figlio ha, o crede di aver bisogno, per diventare adulto o per rimanere eterno bambino. Lo stesso tipo di comportamento di una madre può essere interpretato e vissuto in maniera diametralmente opposta da figli diversi.
La mia mi è sembrata obiettivamente sempre un disastro. Da sempre desidero una madre diversa, una madre presente, che apprezza i miei pregi e ne va fiera, che mi difende ad ogni costo, che mi abbraccia e mi consola, che crede in me e mi appoggia, sulla quale si può contare sempre, che capisce quello che nascondono i miei silenzi, che asciuga le mie lacrime senza dire niente, che ogni tanto mi fa trovare la casa in ordine quando sa che sono tanto stanca, che sceglie il regalo per il mio compleanno perché nessuno mi conosce come lei. Lei da sempre mi dà dei soldi per il mio compleanno, quello che può, che non è mai molto, e nemmeno mi dice con un sorriso “comprati quello che desideri”. Una volta, con i suoi soldi per il mio compleanno, ho comperato degli orecchini e andavo in giro dicendo “me li ha regalati la mia mamma” piena di orgoglio. Da sempre mi racconto delle bugie sul suo conto, per sentirmi confortata.
Eppure, guardata dall’esterno, è una bella persona, probabilmente perché quelli che io considero i suoi pregi sono proprio il frutto di ciò che mi ha insegnato e trasmesso. E’ sincera, odia la falsità, odia le bugie, soprattutto quelle dette per vigliaccheria, per non assumersi le proprie responsabilità. In questa categoria di falsi, al primo posto ci sono i preti e tutti quelli che vanno in chiesa tutte le domeniche ma sono incapaci di provare compassione. “La compassione è l’unico vero sentimento cristiano” sostiene. Al secondo posto ci sono i parenti che non rivelano mai la verità sulla propria famiglia perché deve essere sempre la migliore agli occhi degli altri. Detesta i genitori che non fanno che lodare i figli. Sostiene che un genitore non può sapere chi è veramente suo figlio perché quest’ultimo racconta in famiglia solo quello che gli fa comodo. In una parola è cinica e questo a dire il vero non mi piace affatto; e quando, in alcune circostanze, mi viene naturale di usare le sue frasi provo un senso di ribrezzo che mi fa subito tacere.  Ama leggere e anche scrivere, senza avere nemmeno la licenza di terza media. Ma non per incapacità o svogliatezza; solo perché era troppo timida e di famiglia troppo umile per frequentare la scuola media che, a quei tempi, era frequentata quasi esclusivamente da benestanti. Lei parlava solo il dialetto e la prendevano in giro. E’ stata sempre una solitaria, severa com’è con stessa e con gli altri. Uno dei suoi pregi più grandi credo sia il suo anticonformismo e la sua assoluta avversione per il consumismo. Considerata la sua generazione, credo sia una grande per questo. Detesta gli sprechi. “Io ho vissuto la miseria della guerra” ripete sempre, “non si può riempire continuamente il frigorifero e continuare a buttare cibo marcio”. Per reazione io riempio sempre il mio, come se tutto quel cibo potesse riempire il vuoto immenso che mi lascia ogni volta che la vedo.
I genitori anaffettivi creano delle voragini incolmabili nei figli, e nemmeno lo sanno. Una volta mi ha detto, parlando di se stessa, “credo di essere la madre più affettuosa del mondo”. Non sapevo se sorridere, se piangere o prenderla a sberle. Come fa ad essere così inconsapevole? Come fa a pensare una cosa del genere senza avermi mai dato un abbraccio o una carezza? Per lei i gesti di affetto sono inutili smancerie, privi di senso, sono eccessi inaccettabili. Credo sia per questo che ora reagisco con gelo alle persone che si avvicinano per salutarmi con un bacio sulle guance. I miei amici lo sanno e ridono. Anche io rido. Che altro dovrei fare? Anni fa, per superare questo blocco che ho nei confronti dei corpi altrui, mi sono iscritta ad un corso di shiatsu. Per tre anni ho massaggiato e mi sono fatta massaggiare. Piacevole.
Tutto sembra magicamente risolto quando arrivano i figli. Si cerca di non ripercorrere gli atteggiamenti che ci hanno fatto soffrire ma loro sono altre perone, diverse da noi, con altre esigenze, con altre storie. Sicuramente anche loro ci incolperanno di qualcosa, ci accuseranno, staranno male per colpa nostra. Sicuramente anche noi saremo inconsapevolmente colpevoli.
Una storia senza fine!

sabato 5 luglio 2014

Sincerità intellettuale

"Sono un uomo malato....sono un uomo cattivo. Un uomo che non ha nulla di attraente. Credo di essere malato di fegato. Del resto di questa mia malattia non ne capisco niente, e in verità non so nemmeno io di che cosa soffra. Non mi curo e non mi sono mai curato, sebbene nutra il massimo rispetto per la medicina e per i dottori. Per giunta, sono anche estremamente superstizioso; o perlomeno lo sono abbastanza da rispettare la medicina. (Sono abbastanza colto da non essere superstizioso, eppure lo sono ugualmente.) No, io non voglio curarmi per cattiveria. Questo probabilmente voi non lo capirete, ma io invece lo capisco. Naturalmente non sarei mai capace di spiegarvi a chi esattamente voglio far dispetto in questo caso con le mie ripicche; so benissimo che non sono assolutamente in grado di nuocere nemmeno ai dottori per il fatto che non vado a farmi curare da loro; anzi, so meglio di chicchessia che con ciò faccio del male unicamente a me stesso e a nessun altro. Ciononostante se non mi curo lo faccio proprio per cattiveria: il fegato mi duole, ebbene che mi faccia ancora più male!"
Da "Il sottosuolo" di Fedor Dostoevskij
Ci ho ragionato tanto, ho passato in rassegna tutto ciò che ho letto e devo dire che solo leggendo questo libro mi sono sentita accolta, ho sentito che non ero sola. Un senso di sollievo, finalmente qualcun altro sul mio pianeta. Anche se in realtà so che i pensieri cattivi albergano nella mente di chiunque, molto difficilmente si ha il coraggio di ammetterlo, foss'anche a se stessi. Se nessuno lo confessa non ti resta che mantenere il tuo segreto se non vuoi che ti additino come egoista.
L'egoismo mi piace, quello sano che serve a salvaguardare quello che sei veramente, perché solo così riesci a darti agli altri completamente. Ma se sei frustrato, deluso, amareggiato, svuotato proprio per il fatto che non sai tutelarti, non puoi che essere aggressivo e recriminare, e dare la colpa agli altri della tua mancanza di coraggio.
Fedor Dostoevskij è il mio scrittore preferito. Non ci sono autori contemporanei che possano superare il suo modo di scrivere, la sua acutezza, la sua chiarezza e sincerità nell'esposizione. Questo è quello che penso. Anche quando scrive in fretta, solo per pagare i sui debiti di gioco, è impareggiabile. 
I migliori (moralmente) sono insieme i peggiori della città; è loro destino essere umiliati e offesi. Fëdor Michajlovic Dostoevskij

Memorie dal sottosuolo, anche noto come Memorie del sottosuolo o Ricordi dal sottosuolo, è un romanzo del 1864 di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
Il libro è diviso in due parti. La prima è intitolata Il sottosuolo, la seconda A proposito della neve bagnataLa prima parte è un monologo di critica sociale, dove vengono messi alla berlina gli ideali ottimistici del positivismo, che secondo l'autore non potrebbero mai condurre alla tanto agognata società del benessere, fondata su scienza e ragione, perché l'essere umano - o meglio, l'individuo - avrebbe un segreto desiderio di sofferenza, di sporcizia e di auto-umiliazione che non può essere arginato da nessuna teoria della ragione, né tanto meno da teorie religiose che propongano mielosi ideali di fratellanza umana. La seconda parte dell'opera è un racconto in prima persona, in cui l'autore del precedente cupo monologo confessa alcune sordide azioni che ha compiuto nella sua vita, a dimostrazione di come anche una persona "istruita" e "a modo" come lui possa essere in realtà profondamente abietta.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/vita/frase-56172?f=a:293>

Finalmente!!!

Eccomi qui a cominciare una nuova avventura. Pare che creare un blog sia molto facile, a detta di tutti, invece ci ho messo ore per capire come funziona! Sarà una questione generazionale? Non sono certo una sprovveduta però in certe situazioni ci si sente abbastanza inadeguati.
Ora... la pagina bianca come sempre è disarmante, ma lo scrivere è stata sempre la mia forma di espressione preferita quindi sono certa che appena avrò sistemato il look di questo blog in modo da sentirmi a casa, nel mio angolino accogliente, avrò tante cose da condividere con voi. Quindi.....a presto!